Monique Couderc: Ho vinto il mio cancro

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Storia di una guarigione per mezzo della medicina naturale

 estratti

 

…Il congresso proseguiva i suoi lavori e la sala in cui dovevano esprimersi i delegati delle medicine dette naturali era gremita.

Centinaia di candidati alla verità medica si pigiavano sulle scale e sul podio. La stampa e gli apparecchi di registrazione erano a posto. Non immaginavo di affrontare un tal pubblico, eppure ero lì per ricevere questo battesimo: certi hanno il mal d’aria, io avevo il mal della folla…

 

Ricordo ogni dettaglio di quella giornata cardine; gli esposti caustici e talvolta disperati di dottori lucidi e coraggiosi, che denunciavano l’affondamento delle ricerche, le malattie iatrogene (dovute all’abuso di malattie), l’asservimento del mondo medico all’artificiosità diventata religione per un pubblico passivo, che consegnava la sua volontà alle impressioni e ad un indottrinamento certo. Il fatto che un tale congresso avvenisse, esprimeva bene l’angoscia di pazienti smarriti alla ricerca di un medico giusto e quella del medico inquieto alla ricerca di una medicina onesta. Ricordo gli interventi dell’uditorio, per esempio di quella haitiana, venuta da Port-au-Prince, a proclamare la sua indignazione: “Io chiedo ai popoli detti civilizzati di cessare la loro nocività inondandoci di prodotti tossici come i concimi chimici, la farina denaturata, l’alimentazione artificiale, l’attrezzatura inadatta. Noi conosciamo ora delle malattie che ignoravamo, fra cui il cancro”. Ella fu applauditissima, ma dubito che questo appello al buon senso, venuto da un popolo, qualificato sottosviluppato, abbia avuto una eco.

Come la vigilia, il mio tempo era rosicchiato dalle vedette di quel mattino; avevano tanto da dire… e, come la vigilia, ero ghermita dall’inquietudine del messaggero nell’incapacità di adempiere il suo compito. Mercurio aveva le ali ai piedi, i miei erano attaccati al suolo. Ma gli spiriti erano stati preparati…

Calore, luci, rumori… dalle profondità della vasta udienza saliva, quale un’onda, un’impazienza a cogliere le promesse parole di speranza… Questa complicità mi portò alla tribuna, dove ebbi finalmente qualche minuto per esprimere l’essenziale: la tecnica materiale e spirituale, l’urgenza dell’azione collettiva, la speranza. Era poco, ma sufficiente per elettrizzare una folla molto sensibilizzata, che manifestò il suo entusiasmo e reclamò immediatamente dei dettagli.

Il tempo era immutabile… assaporavo il valore di questa espressione, quando sotto la pressione di un pubblico conquistato, convincevo una sala in cui, durante lunghe ore, furono abbordati, in tutta libertà, i grandi problemi che ci stavano a cuore. L’ostruzionismo dovuto all’indifferenza, piuttosto che a una tattica di opposizione sistematica, si era mutato in un vivo interesse e in immense possibilità di soddisfarlo. La forza d’amore aveva avuto ragione di tutte le difficoltà e, come la colomba della Pentecoste, mi aveva infuso il dono dell’eloquenza e della persuasione.

Il corpo medico mi attorniò e rovesciò sulle rive della nostra piccola isola di fraternità, abbozzo della terra promessa dei tempi nuovi, il sale della spiritualità e della conoscenza scientifica bene interpretata.

Così un amico antropologo e scrittore (Jean Choisel – Le radici del male) ci appassionò, cercando di “penetrare fino alle profonde radici, in realtà congenite, dei funesti comportamenti che, da millenni, trascinano le une dopo le altre, nella decadenza e nella rovina, tutte le successive civilizzazioni umane, attraverso crisi sempre più gravi che affliggono, ormai, e per la prima volta, l’insieme del nostro pianeta.”

Egli evocò l’osservazione così pertinente di Giorgio Pompidou: “Come risolvere questa contraddizione dell’uomo lanciato a corpo morto nel progresso della conoscenza e intimamente in rivolta contro le conseguenze ineluttabili di questo progresso? A mio avviso la questione non è né economica, né politica, né sociale, bensì morale e metafisica.”

Il nostro brillante conferenziere sottolineò il fatto che, durante la sua evoluzione, l’umanità aveva sempre più trascurato di coltivare le facoltà dello spirito, sorgenti di ogni profonda vita interiore, la sola che soddisfi veramente l’uomo. Essendosi questo squilibrio accentuato nel corso dei secoli, l’intelletto era diventato “extelletto”, l’evoluzione normale dell’uomo era diventata una involuzione, il cui prodotto tipico era “l’Homo-technicus” caratterizzato da una amoralità e da una perversione sfiorante la demenza.

Gli antropologi avevano constatato che l’uomo soffriva di brachicefalizzazione, cioè di uno sviluppo anormale del volume del cervello anteriore, a deterioramento del cervelletto, finestra sul cielo; questo ultimo, sede importante dei punti sottili della spiritualità e delle funzioni battezzate paranormali, pone l’uomo in presa diretta con le forze cosmiche e le loro esigenze. La finestra si era chiusa piombando l’uomo in una notte profonda, assillata dal terrore, le violenze, le carestie, l’egoismo, l’intolleranza, la malattia, lo spirito di lucro e di rivalità. La superiorità dell’essere aveva fatto posto alla superiorità dell’avere.

 

Da cervelli in disordine erano spuntate idee sbagliate che trascinavano l’uomo e il suo universo nella decadenza… ma i conti dovranno essere regolati e la nota sarà pesante. Una grande legge di antropologia, valevole per tutte le specie, compresa la specie umana, stabilisce che ogni eccesso di specializzazione, e per la razza umana si tratta di eccesso di cerebralizzazione, favorisce prima la decadenza, poi la scomparsa della specie.

Non è forse questo il brillante avvenire promesso ai figli rinnegati e sviati di un universo saccheggiato?

 

Queste incredibili precisazioni stupirono un uditorio attento, ma atterrito davanti a così sinistre prospettive. Questa sinistra dimostrazione metteva in piena luce il problema del cancro, inevitabile conseguenza della follia umana. Eppure non bisognava scoraggiarsi, ma tentare di alleviare e guarire le vittime. Molti presero la parola, come quella inesauribile haitiana, che ci descrisse in questi termini il modo in cui, da loro, si guarivano i cancri al seno: “Noi invitiamo i malati a camminare nell’acqua, di fronte al sole, in un’ora ben precisa; applichiamo piante e argilla sul tumore e diciamo alle donne, mentre risuona un tam-tam a sonorità studiate: concentrati, gli dei discendono su di te e ti guariranno. Prepariamo loro delle bevande a base di piante, come la pervinca”.

 

Questi “sottosviluppati” mostravano la lingua ai nostri super specialisti occidentali, utilizzando metodi apparentemente empirici, ma pieni di logica e di verità. La marcia nell’acqua aiuta l’organismo a negativizzarsi; l’angolo offerto ai raggi solari è una radioterapia vivente, non nociva; le radiazioni e onde di forma benefica, tra cui il raggio verde (la radiazione più corta e penetrante che esista), disseccano il tumore, senza aggredire le cellule sane; l’applicazione di piante, è una forma di fitoterapia rinforzata da una cromoterapia, di cui l’occidente riscopre il valore, peraltro non senza reticenze.

L’aspetto psichico di questa terapia non era trascurato, contrariamente ai metodi moderni. Concentrandosi e ammettendo che un aiuto celeste sarebbe loro accordato, i malati facevano appello alla forza di un morale potente; distese, rassicurate, fiduciose nelle leggi cosmiche, queste donne ne ricevevano beneficio. In quanto alla musicoterapica, solo il nostro mondo civilizzato la trascura.

 

 

Molto prima dei nostri fisici, gli Anziani conoscevano il fenomeno della risonanza e i suoi effetti; certe note ripetute su un ritmo particolare, provocano delle vibrazioni che possono agire su un organismo vivente o sulla materia inerte: “Alla settima volta, le mura caddero”.

 

“A Epidauro, la Lourdes dell’antichità, i malati soggiornavano nelle camere dette di incubazione; dei preti-medici utilizzavano il “terpnos logos”, parole dolci e positive, per introdurre nel loro spirito immagini di guarigione”. È in questo modo che il Dr. Caycedo, psichiatra spagnolo, ispirandosi alle direttive di Socrate, Platone e dei maestri orientali, cura i suoi malati secondo un metodo detto sofrologico.

Oh medici di Ur e di Alessandria, perché non siete fra noi! Ma forse lo siete già, senza che ne abbiamo coscienza!

Oltre alla nostra bella haitiana, altri partecipanti al congresso testimoniarono la loro guarigione dal cancro; essi non avevano potuto o voluto pronunciarsi fino a quel momento, quasi vergognandosi di essere guariti al di fuori delle istituzioni mediche, ciascuno seguendo il proprio temperamento, le sue possibilità e le sue nozioni. Tutti però avevano capito che la risposta all’enigma posto era prima di tutto in se stessi e che la malattia aveva un senso da scoprire; tutti avevano rispettato i grandi principi di base di una solida guarigione, di una reale riabilitazione cellulare; tutti avevano avuto abbastanza istinto per sollecitare la preziosa alleanza di quegli elementi naturali che sono l’aria, l’acqua, il sole un’alimentazione viva ed equilibrata, potenti agenti di disintossicazione di un organismo diseducato, che tenta di evacuare un eccesso di scorie fissandole in un tumore. Tutti avevano rifiutato di dimettersi e attinto, con  un’attitudine positiva, libera e combattiva, ad una sorgente incessante di energia.

E là, improvvisamente coscienti di aver compiuto un difficile percorso, ricevevamo, noi i sopravissuti al cancro, la palma di pionieri e quasi di apostoli di una nuova arte di guarire. Poiché ciò che avevamo realizzato noi, nella solitudine e nella difficoltà, altri potranno realizzare. E questo adempimento sarà tanto più certo, in quanto riceveranno i consigli di medici coraggiosi, come quelli della nostra squadra, pronti a offrire il loro aiuto e il loro sapere. Questi marginali presentivano che era giunto il momento di uscire dall’ombra e di guidare i pazienti decisi a pensare con la loro testa.

Un giovane medico barbuto, dallo spiccato accento meridionale, dichiarò con entusiasmo che era il primo candidato a voler esercitare una medicina ripensata, applicabile alla lotta anticancerosa, e aggiunse al colmo dell’emozione: “Poco mi importa che i miei pari mi mettano alla gogna; me ne libero, divento un altro e lo proclamo pubblicamente.”

I Confederati del luglio 1798 non erano più ardenti dei congressisti del novembre 1974 all’assalto di una Bastiglia di conformismo sclerotizzante e di errori di ottica. Il compito più urgente era di scuotere l’inerzia, rianimare le speranze, insegnare, “formare gli spiriti senza conformarli, arricchirli senza indottrinarli, armarli senza arruolarli, comunicare loro una forza che possano fare propria, sedurli alla verità per condurli alla loro propria verità, dare loro il meglio di sé, senza attendere quella paga che è la rassomiglianza”.

Probabilmente avremmo raggiunto, coi nostri soccorsi, un gruppo ristretto; non si scuote tanto facilmente la polvere.

 

 

…di pregiudizi accumulati nel tempo. Ma questa prima e modesta cellula di buone volontà era ben strutturata, ben vivente e aveva per compito di trasmettere i frutti di una lotta amara e solitaria indirizzata al bene. Avevo talvolta dolorosamente risentito il peso di questa solitudine senza accorgermi che un filo invisibile univa coloro che camminavano penosamente su questo sentiero pieno di trappole e che il progresso di uno diventa quello di tutti.

È solo nel silenzio che l’uccello riconosce l’uccello…

Eravamo gioiosamente sorpresi di incontrarsi alla fermata, ansanti, ma purificati, pronti a tendere la mano a tutti quelli che avrebbero intrapreso il viaggio.

“Amico, tu che soffri nel tuo corpo o nel tuo spirito, la tua sofferenza è una condizione evolutiva che si attacca a te come l’ombra ai tuoi passi. Essa ti farà cercare la tua via per mezzo dello sforzo; scegli bene quella che conduce alla verità e sappi che non sei solo. Il ponte che permette di oltrepassare il baratro del dolore e dei vagabondaggi è ancora fragile, ma lo consideriamo con pazienza per amor fraterno; sottili sono i materiali, ma immensa la fede in quest’opera di salvataggio. Abbi fiducia in te stesso, nei tuoi traghettatori, e unisciti a quelli che vogliono rendere il loro vero senso alle parole dignità e solidarietà. La reazione in catena di amore è infinita… e, a tua volta, diventerai pastore”.

 

 

Scaraventata mio malgrado, col mio piccolo incartamento sotto braccio, sulla scena dell’attualità locale, mi sentivo coinvolta in un movimento irresistibile che mi lasciava supporre che il combattimento non era terminato. Non quello destinato a conquistare una guarigione già acquisita, ma il combattimento di tutti gli altri, al quale già da lungo tempo mi ero allenata e che oltrepassava il dominio medico.

Ritorno a quell’importante congresso che, sebbene non abbia avuto una grande risonanza nella stampa francese, malgrado il numero di giornalisti che vi assistevano, segnò, ciò malgrado, il lancio di una campagna ecologica fra le più positive. “Tutto è in tutto”. Era inutile scoprire i metodi più geniali per arrestare la malattia, senza denunciarne e fustigarne le vere cause. Mentre nella nostra sala si tentava di districare l’inestricabile matassa, cause e effetti del cancro su scala umana, altri lavori si svolgevano altrove sullo stesso tema, ma su scala planetaria.

Si constatava che il cancro non è che la trasposizione di quello che cancrenizza il nostro universo per colpa degli uomini. Era il racconto stesso dell’Apocalisse.

 

Questa precisazione è probabilmente fatta in opposizione all’artificialità implicita nel termine generale medicina, le cui tecniche sono lontane da quelle utilizzate dalla natura.

La legge d’analogia enunciata dal grande Hermes Trismegisto. “Ciò che è in alto è come ciò che è in basso, e ciò che è in basso è come ciò che è in alto” (La tavola di smeraldo). Questa legge di applicazione generale, al microcosmo come al macrocosmo permette qualunque induzione.